I cani dei re, dei principi e dei borghesi

Il Rinascimento portò in Occidente una ventata di libertà. L’italia fu la patria degli artisti che costituirono l’avanguardia del movimento protagonista della rinascita dell’arte e della vita mondana. Tuttavia pittori di stile gotico come Pisaneilo avevano già incluso nei loro dipinti ritratti di levrieri, rappresentati di solito quali compagni dei santi o dei re magi. All’inizio del Rinascimento comunque il cane per eccellenza era il cane da caccia, a quel tempo orgoglio dell’aristocrazia

Ritratto di Madam de Porcin. Nel XVIII secolo i piccoli cani erano i favoriti delle nobildonne, delle dame di corte e delle ricche borghesi. Dipinto di Greuze.

In quel periodo si scrisse molto sui cani. Nel 1492 GuilIame Tardiff compose, su richiesta di Carlo VIII di Francia, il prestigioso trattato Art de fauconnerie ou des chiens de chasse. Nel 1561, Jacques du Fouillox pubblicò la Vénerie, che illustrava numerosi precetti e rimedi per le più diffuse malattie dei cani. Nel 1590 in Inghilterra fu pubblicato quello che può essere considerato il precursore degli attuali manuali: sulla “scelta, l’igiene e la salute dei cani”. A partire dal XVI secolo divenne più precisa anche la classificazione delle razze, che fino a quel momento era rimasta piuttosto approssimativa; si parlava ancora dei veloci levrieri, ma anche dei cani da ferma e di quelli cia tana. I molossi (e altre razze di grossa taglia) continuavano a essere considerati adatti solo a scopi militari.
A quei tempi possedere cani non era più uno stretto privilegio dell’aristocrazia; anche i ricchi borghesi potevano permettersi di farsi ritrarre in compagnia dei loro fedeli amici. Ciò era particolarmente vero nel caso dei mercanti fiamminghi che vivevano in un Paese i cui artisti avevano studiato in Italia. Questi maestri produssero una gran quantità di dipinti raffiguranti celebrazioni, feste, mercati, riunioni di consigli municipali e assemblee di confraternite o di corporazioni mercantili, e in molti di questi quadri i Iaboriosi borghesi erano ritratti vicino ai loro animali. Si trattava nella maggior parte dei casi di “cani da topi”, destinati a proteggere dai roditori i beni dei commercianti.
Le ricche signore, invece, amavano farsi ritrarre con piccoli esemplari delle dimensioni di un gatto. Nelle opere dei pittori, degli scultori e degli incisori del tempo il molosso fu sempre meno rappresentato, perdendo terreno a favore del più elegante levriero. Un’incisione di Dùrer, celebre artista tedesco, mostra non meno di cinque differenti tipi di levrieri, ciascuno dotato di specifiche capacità.

Don Antonio l’Inglese. Nei dipinti di Vehzquez i membri della corte spagnola sono spesso raffigurati con i loro cani (X VII secolo).

Nel tardo Rinascimento la popolarità dei cani si era estesa a quasi tutte le classi sociali, I sovrani di Francia, Inghilterra e Spagna possedevano mute per la caccia, mentre le loro spose preferivano piccoli cani da compagnia.
Funzionari specializzati si prendevano cura di tutti questi animali, I principi e i nobili, tenuti ora a distanza dai re e privati dei loro privilegi, ridussero sempre più il numero degli elementi delle loro mute. I cittadini benestanti possedevano animali il cui sostentamento non gravasse troppo sul loro bilancio. Al più basso livello della scala sociale vi era il popolo, che aveva cani non di razza ai quali erano stati recisi i tendini, come prescrivevano le leggi del tempo, e che venivano impiegati per sorvegliare le greggi dopo che la mutilazione li aveva resi ovviamente inadatti alla caccia.
Luigi XIII di Francia destinava non meno di quattro luogotenenti alla cura delle sue mute; a loro volta questi funzionari erano assistiti da quattro maestri di canile a cavallo e da altri quattro a piedi, dai quali dipendevano diciotto custodi e quattro addetti alla manutenzione dei canili. Ognuno di questi impiegati aveva l’obbligo di dimostrare di “essere di buona famiglia, sobrio e timorato di Dio”.
Sotto il regno di Luigi XIV le dimensioni dei canili reali si ampliarono ulteriormente. Anche il delfino e altri nobili avevano le proprie mute, tanto più che fino alla Rivoluzione la caccia rimase privilegio della nobiltà. La si praticava essenzialmente mediante battute a cavallo, anche se talora veniva svolta con l’aiuto di falconi. Le migliori mute per la caccia a cavallo continuavano a essere composte dai blancs du roy, ma ne furono create altre con un gruppo di bastardi anglo-francesi che Giacomo I aveva inviato al re in cambio di esemplari da ferma specializzati nella caccia agli uccelli.

Cane che sorveglia la selvaggina Le mute reali in Francia erano costituite dai blancs da roy. Particolare di un dipinto di A.F Desportes, scuola francese.

In Inghilterra, a quel tempo, i cacciatori erano molto più numerosi rispetto alle epoche precedenti. Essi catturavano la piccola selvaggina, come volpi e uccelli, e avevano bisogno di animali veloci, leggeri e che richiedessero poche cure. Di conseguenza cominciò ad aumentare il numero dei cani da caccia piccoli. Questi erano principalmente fox-terrier, spaniel e harrier, tutti ampiamente esportati.
Tra la nobiltà, la moda dei cani da compagnia ebbe inizio proprio nel Rinascimento. Si racconta che Enrico III di Francia, durante le sedute del suo consiglio, amasse essere sempre circondato da spaniel piccolissimi da lui chiamati papillons (farfalle). Si racconta inoltre che il re permettesse
ai suoi preziosi amici di dormire nel proprio letto. Ma fu in Inghilterra, durante i regni di Carlo 1 e Carlo Il, che la moda dei cani da compagnia si affermò definitivamente. Il loro cane preferito era quello oggi noto con il nome di King Charles spaniel, una piccola razza dal manto nero con macchie rosso vivo o bianco e arancio che ha acquistato popolarità con il passare degli anni.
Accanto ai cani reali vi erano numerose altre razze e varietà da compagnia nei salotti delle dame di corte, particolarmente i maitesi e i bolognesi, che erano abbastanza diffusi anche nelle case dei ricchi borghesi. Altre razze che si potevano trovare nelle dimore dei benestanti, soprattutto in quelle dei mercanti delle Fiandre che commerciavano con Paesi lontani, erano canini, schipperke, griffoni di Bruxelles e brabantini.
Nel XVIII secolo in Gran Bretagna la caccia era diventata più accessibile anche per il popolo. I bloodhound e i inolossi erano praticamente scomparsi per la mancanza di selvaggina di grosse dimensioni, ma erano stati rimpiazzati dagli spaniel, dai setter e soprattutto dai pointer che, anche se dovevano sempre essere accompagnati da cani da riporto per recuperare la preda, erano insostituibili nello stanarla grazie alloro fiuto straordinario.
In Francia Luigi XV e la nobiltà dell’epoca mantenevano un gusto molto vivo per la caccia di tipo tradizionale, ma la composizione della muta cambiò con il massiccio inserimento di bracchi provenienti dall’inghilterra e dall’Italia, animali che il re apprezzava in modo particolare. Grazie a questa nuova introduzione aumentò il numero delle razze da ferma; la nuova razza più famosa fu il bracco San Germano. I cacciatori del tempo utilizzavano anche un cane di piccola taglia per recuperare la selvaggina d’acqua:
il suo manto fitto e lungo lo proteggeva dal freddo, ma doveva essere rasato sul dorso per evitare che venisse trascinato sott’acqua e affogasse. Spesso infangati quando uscivano dal pantano, questi animali non erano autorizzati a entrare nelle lussose abitazioni della nobiltà. Un giorno una femmina di questa razza mise al mondo quattro cuccioli con un bellissimo pelo nero e riccio. Furono proprio loro gli antenati dei barboncini.
A quell’epoca il lupo non era ancora scomparso nell’Europa occidentale e centrale, e in Russia si organizzavano battute di caccia per catturano. Le famiglie aristocratiche di quei Paese allevavano per questo tipo di attività, che si praticava sempre in occasione di feste e ricevimenti, mute composte da levrieri coperti da un lungo pelame: si tratta della razza borzoi.