I Cani nelle corti

Medioevo

All’ inizio del Medio Evo il cane conobbe un periodo oscuro ma la situazione cambiò nell’età delle corti quando, molto amato dai re e dai nobili appassionati di caccia che impiegavano tutte le loro risorse per costituire mute sulle quali vegliavano gelosamente, questo animale seppe farsi apprezzare da tutte le classi sociali.La deposizione di Romolo Augusto nel 476 d.C. segnò la fine dell’Impero Romano d’Occidente e diede anche inizio alle invasioni di popoli barbari che distrussero ogni traccia di vita urbana e rurale. I contadini, venute a mancare tutte le altre risorse, dovettero rifugiarsi nelle foreste per evitare le orde che li minacciavano e i cani seguirono i loro padroni nella fuga. In tal modo, agli inizi del Medio Evo, i nostri più fedeli compagni avevano ritrovato molti comportamenti dei loro antenati. Tornati quasi allo stato selvatico, vagavano in branchi coprendo vaste aree e diffondendo, naturalmente, diverse malattie tra cui la rabbia. La costante carenza di cibo, e dunque la fame, spinse molti di questi animali a riprendere il loro antico ruolo di spazzini attorno agli insediamenti umani, cibandosi di carogne e anche di cadaveri sepolti 

La caccia con il falcone e i cani era una delle caratteristiche peculiari dell’aristocrazia del Medio Evo (dettaglio dell’arazzo di Bayeux).

La presenza di esemplari feroci alla periferia degli accampamenti generò paura e superstizione. I Gallo-Romani cominciarono a considerare i cani creature demoniache, “cani dell’inferno”, e sarebbero dovuti trascorrere molti secoli prima che questa immagine svanisse completamente.
Durante questo periodo la fantasia umana creò i lupi mannari, i cani serpente e i cinocefali, mostri con il volto di cane, assai temuti, e la cui esistenza non era assolutamente oggetto di dubbio, tanto che i cinocefali sono stati raffigurati nel timpano della basilica di Vézelay, in Francia, scolpito nel 1125. Attorno al 1250 un monaco descrisse la battaglia che questi uomini cane avrebbero sostenuto contro i Mongoli. Solo Marco Polo ne parla con ironia, dicendo che avevano testa, denti e muso somiglianti a quelli di un grande mastino e il resto del corpo simile quello di un uomo.

L’attacco alla preda. Con le prime grandi mute i molossi si affinarono e i levrieri si irrobustirono. (Les Tres Riches Heures du due de Berry, XV sec.).

Poiché le terre coltivate a quel tempo erano state abbandonate, la selvaggina tornò a essere numerosa e l’uomo riprese la sua attività di cacciatore: il cane, dunque, ritrovò la sua utilità. La maggior parte della popolazione, però, non poteva permettersi di mantenere cani, nemmeno di piccole dimensioni, e così cacciava gli uccelli con lacci e rozze trappole, mentre la nobiltà, via via che cresceva la sua potenza, cominciò a possedere mute di addestrate razze da caccia. I levrieri furono incrociati con i molossi e furono tenuti ben protetti dagli animali selvatici che vagavano famelici per le campagne d’Europa. Così, nell’Europa continentale e in Inghilterra, gli esemplari per la caccia alla selvaggina di grosse dimensioni furono a poco a poco selezionati negli allevamenti dei loro padroni.
La passione per i cani, forse ancora identificati con le divinità pagane di cui erano stati l’immagine, non era tuttavia vista con favore dalla Chiesa, che vietò agli ecclesiastici di possederne, e fece pressione su Carlo Magno affinché i nobili laici non assistessero più alle funzioni religiose accompagnati dai loro preziosi amici. Ma gli aristocratici, non volendo separarsene, fecero aprire le porte delle chiese per poter seguire la messa sul sagrato e far benedire così anche i loro compagni. Con il tempo venne istituita una benedizione annuale dei cani il giorno della festa di Sant’Uberto, il santo che li guarisce dalla rabbia.

Un levriero bianco dietro al quale si intravvede un antenato del bloodhound. Alla loro sinistra vi sono dei griffoni già utillizzati per la caccia. (Breviario Grimani, Venezia, 1515).

Dopo l’anno 1000, la nobiltà cominciò a considerare i propri diritti e privilegi di caccia con sempre maggior gelosia e orgoglio, e si interessò sempre più alla qualità dei propri cani. L’allevamento riprese vigore e anche i cani pastore furono nuovamente richiesti. Tuttavia la clifferenza tra cani da caccia e cani pastore restava poco chiara.
Così, per evitare che gli fosse sottratta la selvaggina che si trovava sui suoi terreni, Knud I, che regnava sulla Danimarca, l’Inghilterra e la Norvegia, nel 1016 decretò che tutti i cani dei contadini che vivevano entro 10-15 km dalle sue tenute avessero i tendini dei garretti recisi.Questa pratica barbara si diffuse rapidamente in Europa ed era ancora in uso nel XVIII secolo. All’epoca del decreto di Knud i cani erano suddivisi in categorie secondo la loro utilizzazione: i bracchi stanavano la selvaggina, i segugi spingevano i cervi all’aperto dove altri cani li avrebbero inseguiti, i levrieri venivano impiegati per cacciare lepri e cervidi e i molossi erano usati per abbattere animali di grandi dimensioni; gli antenati della famiglia dei terrier scovavano i roditori, mentre vari altri cani seguivano le tracce della selvaggina. Verso la fine del Medio Evo alcuni nobili iniziarono a esporre per iscritto le loro esperienze di caccia con i cani. 

cane da caccia a orecchie cadenti e un lupo. Miniatura da un manoscritto delle Favole di Esopo del XIV secolo.

Testo

Tra i primi vi fu l’imperatore Federico Il di Svevia (che regnò dal 1220 al 1250) con De arte venandi cum avibas, anche se l’opera è soprattutto un trattato sulla falconeria. Nel XIV secolo Gaston Phoebus, conte di Foix (1331-1391) scrisse il Traité de la chasse, che lo rese celebre. Nella sua opera passa in rassegna le razze esistenti all’epoca, descrive i diversi incroci e suggerisce come occuparsi dei cani tenuti nei canili, il che costituiva una grande novità per quei tempi.
Con il passaggio a costumi più pacifici, la vita delle dame e dei signori divenne più piacevole e i cani da compagnia, come i piccoli levrieri, ritrovarono un posto nelle abitazioni

In Cina i cani erano utilizzati per pattugliare e proteggere la provincia di Kwei-Chou invasa dai leoni (di montagna). illustrazione da Il libro delle meraviglie del mondo di Marco Polo (XV secolo).

“Come il buon cacciatore deve inseguire la preda e catturarla con la forza“. Scena di caccia al cervo: una muta di levrieri insegue la preda. Il Traité de la chasse di Gaston Phoebus, conte di Foix, fornisce una testimonianza dell’allevamento e addestramento dei cani del XV secolo.