Roma

 cani, forse introdotti nella penisola italica dai coloni della Magna Grecia, furono presenti a Roma sin dalle sue origini. La leggenda mette in relazione la fondazione stessa della città, destinata a estendere il suo dominio sul mondo allora conosciuto, con un antenato dell’antica razza diffusa nel territorio italico. Come è noto, si sarebbe trattato di una femmina di lupo simile agli esemplari che vagavano per l’Europa preistorica: essa avrebbe allevato e nutrito Romolo e Remo come i suoi stessi cuccioli. A Roma i cani erano molto diffusi, e ovviamente impiegati nella caccia, passione che i Romani avevano ereditato dai loro antenati indoeuropei e dai Greci, da cui avevano acquisito molti usi e costumi. Segugi e levrieri erano le razze da caccia più popolari, ma anche animali più piccoli venivano utilizzati per inseguire la selvaggina di modeste dimensioni. Questi ultimi avrebbero dato origine ai cani da ferma.

I molossi, cani da combattimento per eccellenza, accompagnavano i gladiatori che combattevano nelle arene e furono inoltre impiegati in guerra. Secondo lo storico greco Polibio, che visse a Roma nel lI secolo d.C., e che nella sua opera Stratagemmi espose le tattiche belliche del tempo, i cani da guerra avevano tre funzioni ben precise: attaccare il nemico, difendere gli accampamenti e recapitare ordini. Utilizzati come messaggeri, erano costretti a inghiottire capsule di rame contenenti documenti segreti da portare a destinazione sgusciando attraverso le linee nemiche. I dispacci venivano recuperati uccidendo gli animali. Gli esemplari allevati per l’attacco o la difesa erano quasi certamente disndenti dei molossi sumeri che i Greci avevano allevato dopo averli sottratti ai Persiani. Per il loro coraggio essi erano addirittura leggendari: si racconta che un generale romano avesse equipaggiato i suoi cani con basti riempiti di materiale incandescente e li avesse scagliati contro i nemici per ustionare il ventre dei loro cavalli.I cani romani furono anche utilizzati come guardiani delle città e dei monumenti pubblici. Solo in un caso subirono uno smacco ad opera delle oche, quando i Galli tentarono un’incursione notturna nel Campidoglio. Anche le oche infatti venivano usate quali animali da guardia nei quartieri poveri, dove nessuno poteva permettersi di mantenere cani addestrati allo scopo. Sappiamo che cani da guardia difendevano le case patrizie in quanto al loro ingresso erano posti mosaici raffiguranti questi animali, corredati dalla scritta Cave canem (Attenti al cane!). Anch’essi erano discendenti dei molossi sumeri.

Fu proprio in epoca romana che nacque la passione per i cani come la concepiamo ai nostri giorni. Ne sono prova bassorilievi e mosaici che ne descrivono varhà da guardia, da guerra, levrieri, piccoli cani da caccia che diedero origine ai bracchi. La loro importanza è confermata dal fatto che sono menzionati molto spesso nelle opere letterarie più antiche della latinità. Nei Rerum rusticarum libri Varrone (I secolo a.C.) parla per la prima volta dei cani pastore: ammonisce i lettori a non comprarli da un macellaio perché assalirebbero il gregge, né da un cacciatore, in quanto potrebbero essere facilmente distratti dai loro compiti per il passaggio di una lepre o di una volpe. Nel I secolo d.C. Columella, nel De re rustica, descrive dettagliatamente i cani da guardia. Un secolo più tardi un altro storico greco che viveva a Roma, Arriano, diede consigli sull’acquisto di esemplari per la caccia alla piccola selvaggina. Nelle Metamorfosi Ovidio ci narra di un levriero che caccia una lepre e lotta con agilità e ardore. Da Virgilio, il celebre poeta autore delle Bucoliche, sappiamo che i Romani tagliavano le orecchie e la coda dei loro cani pastore non per ragioni estetiche, ma per evitare che queste parti del corpo venissero azzannate da lupi e volpi.
Durante il tormentato passaggio dalla Repubblica all’Impero le famiglie patrizie apprezzavano molto gli esemplari da compagnia. Anche Giulio Cesare amava le varietà di piccola taglia e probabilmente questa predilezione si era rafforzata durante i suoi soggiorni presso Cleopatra in Egitto e nelle frequenti visite in Bitinia, poiché sembra che questi animali fossero assai popolari tra gli abitanti delle rive del Nilo. Cani simili ai maltesi e progenitori dei levrieri italiani furono importati allora a Roma, e i ricchi romani li adornavano con gioielli e addirittura costruivano per loro tombe sontuose.

A dire il vero alcuni esperti ritengono che l’espressione “attenti al cane” fosse un avvertimento a non calpestare questi piccoli animali domestici.
I cani accompagnarono le legioni romane durante le campagne per la conquista della Gallia e della Britannia. I Celti avevano occupato l’Europa settentrionale e le isole britanniche fin dal V secolo a.C.: questo popolo proveniva dalle sponde del Mar Caspio, aveva risalito il corso del Danubio e attraversato l’attuale Germania, portando con sé cavalli e cani che utilizzava in guerra con tecniche evolute. Per procurarsi lo stagno, che si trovava in Caledonia, l’attuale Scozia, i Romani attraversarono le Alpi, risalirono il Rodano, la Saona e la Senna, e passarono in Inghilterra. Fu allora che trovarono sulla loro strada i Celti, determinati a difendersi, e i loro risoluti protettori. Si racconta che in una battaglia i Romani impiegarono meno di un giorno per sconfiggere i Celti, ma più di due per oltrepassare i cani posti a guardia dei carri e dei rifornimenti dei nemici uccisi: un vero esempio di fedeltà da parte di questi animali. E dubbio se i Celti possedessero levrieri, in quanto presso di loro la caccia era stata sostituita dall’agricoltura. Questa razza era probabilmente diventata rara in Gallia, in Spagna e nelle isole britanniche. E possibile che il cane fosse un animale domestico più tra i Celti che tra i Romani. Curiosamente, con i Gallo-Romani cominciarono a comparire razze canine sempre più specializzate, (si iniziano a distinguere cani pastore, da caccia e da compagnia) che si ritroveranno pressoché intatte alla fine del Medio Evo.

Cave canem (A/tenti al cane.’). Questo avviso era molto comune all’ingresso delle case romane ed era a volte corredato anche dall’immagine di un cane. Mosaico proveniente da Pompei (I secolo d. C.).

Testa di molosso. I molossi erano molto apprezzati nella Roma imperiale. Essi prendevano parte ai giochi nei circhi venivano utilizzati dalle legioni per sorvegliare gli accampamenti e per condurre le mandrie e accompagnavano i ricchi romani nelle loro battute di caccia. Dettaglio di un mosaico proveniente dalla villa romana di Casale, Francia (III-IVsecolo d.C.).

Caccia al cinghiale. Mosaico da un padiglione di caccia di un governatore dell’epoca imperiale. Villa romana di Casale, Francia (111-1V secolo d. C.)